“La libertà non è uno spazio libero”
“La libertà non è uno spazio libero, libertà è partecipazione”.
Così cantava Giorgio Gaber per significare che la libertà non è stare da soli – “sopra un albero” o nel “volo di un moscone” – bensì trovarsi nella collettività dove ognuno partecipa gli altri suoi simili delle proprie idee, opinioni, progetti. Con modalità arbitraria? No, certo. Era il 1972: l’Italia repubblicana aveva soltanto ventiquattro anni di età e le ferite della dittatura erano state medicate con una Carta Costituzionale tra le più evolute nel mondo.
Sono passati quasi cinquant’anni e vale la pena chiedersi se le parole di Gaber valgano ancora oppure se, nell’epoca attuale, il concetto di libertà espressiva sia un organismo geneticamente modificato alla portata di chiunque possieda l’abilità di attivare il tasto “on” di un qualsiasi suo device.
Bella domanda.
Diritto di libertà di manifestare il proprio pensiero.
Reduce dalle brutali offese ai fondamentali diritti umani perpetrate dalle due guerre mondiali e dalla Shoah, nell’immediata epoca postbellica e sull’onda dell’art. 19 della Convenzione dei diritti dell’Uomo del 1948, l’Europa volle dotarsi di un corpo normativo il cui stesso nomen è testimone di quanto la mancanza di libertà fosse una sofferenza davvero carnale.
La Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali
“Convenzione Europea per la Salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali” (meglio nota con l’acronimo CEDU): questo il titolo della Convenzione firmata a Roma il 4 novembre 1950.
Nell’ottica europea, il diritto di espressione si poneva come centrale rispetto all’area delle prerogative umane da positivizzare e, allo stesso tempo, a servizio dei diritti politici e sociali di cui l’Uomo moderno era chiamato a godere sul presupposto che senza libertà di espressione la dialettica democratica è azzerata.
L’art.10 comma 1 stabilisce che “Ogni persona ha diritto alla libertà d’espressione. Tale diritto include la libertà d’opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza ingerenza alcuna da parte delle autorità pubbliche e senza riguardo alla nazionalità. Il presente articolo non impedisce che gli Stati sottopongano a un regime di autorizzazione le imprese di radio-diffusione, di cinema o di televisione.
“Ogni persona” e non “ogni cittadino”. Dunque la libertà di espressione ha portata universale.
“Opinione” e “libertà di informazione” delimitano l’ambito oggettivo della tutela fornita dal legislatore europeo il quale ha riguardo alla
- libertà individuale di esprimere le proprie opinioni, propalarle e ricevere quelle altrui;
- libertà di essere informati sul piano sociale e politico sino a conoscere e controllare la congruità tra l’azione governativa e gli interessi –pubblici e privati- della comunità di appartenenza.
La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea
L’altro caposaldo normativo del diritto di espressione è l’art.11 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (nota anche come Carta di Nizza o con l’acronimo CDFUE).
Nel nostro linguaggio costituzionale, la libertà di espressione è prerogativa che pertiene lo statuto dell’umana dignità e rientra tra i “diritti inviolabili” previsti dall’articolo 2 della Costituzione stessa. Anche per questo la libertà di espressione è declinata nelle diverse forme della libertà e segretezza della corrispondenza (Costituzione art.15), libertà di manifestazione del pensiero (art.21Cost.), libertà di professione religiosa (art.19 Cost.), libertà artistica, scientifica e di insegnamento (art.33 Cost.), libertà di istruzione (art.34 Cost.).
Teorizzata nello sviluppo del pensiero liberale, la libertà di pensiero è uno dei cardini del pluralismo democratico sul quale riposano i diritti di critica, di cronaca, di informazione, di accesso alle fonti ed anche il diritto di satira.
Questa osservazione offre il destro per precisare che l’ambito oggettivo del diritto in questione non concerne il “pensiero” in sé bensì la sua manifestazione ovvero il momento in cui il pensiero inteso come attività mentale esce dalla sfera personale del soggetto che l’ha originato per essere comunicato e, quindi, entrare in contatto con le sfere personali altrui.
A ciò si aggiunga che oggetto della norma costituzionale è il “proprio” pensiero e, quindi, tutto ciò che è riconducibile alle idee, alle opinioni.
È corretto attribuire valenza collettiva al possessivo “proprio”? Certo.
Ma la radice di questo segmento di tutela costituzionale è individuale con ciò intendendo il diritto di ogni essere umano ad esprimere quel che pensa. Dunque, il diritto di manifestazione del pensiero è diritto alla circolazione delle idee e delle opinioni personali.
Possiamo aggiungere che si stratta di una circolazione “progressiva” dato che l’art.21 apre ad “ogni altro mezzo di diffusione” ulteriore rispetto allo scritto ed alla parola, il novero delle modalità di trasmissione del pensiero.
Le conquiste costituzionali e l’evoluzione dei mezzi di comunicazione
Chissà se i nostri padri costituenti immaginavano il salto evolutivo che l’Umanità ha compiuto nel XX-XI secolo: non lo sapremo mai. Quel che sappiamo è che i 75 membri della Commissione per la Costituzione avevano ben presente l’accelerazione tecnica e tecnologica vissuta dal mondo occidentale tra la prima e la seconda guerra mondiale.
Appena un anno prima, “Little boy” e “Fat man” avevano offerto il saggio disastroso di una scienza usata contro l’uomo.
Perciò, l’aver allargato l’ipotesi sino a prevedere “ogni altro mezzo di diffusione” è il segno di quella lungimiranza carica di pathos, anche affettivo, con cui un padre cerca di tutelare la propria discendenza. Se chi ci ha preceduto non avesse dato prova di aver imparato la lezione della storia, come potremmo, oggi in Italia, difenderci dall’uso antietico della parola scritta specialmente in ambiente social?
Le conquiste costituzionali riguardo alla libertà di pensiero e di informazione devono essere interiorizzate dagli aventi diritto e riversate nel loro agire quotidiano, devono essere ribadite, difese, diventare patrimonio collettivo e personale, di cui prendersi cura sempre e ovunque.
In materia di diritti di pensiero, di manifestazione e di parola ci sono tante sfumature di cui tenere conto.
Una di queste riguarda ad esempio quale sia il pensiero da tutelare. E qui si apre un altro interessante discorso che sarà materia di un prossimo articolo.
Continua a seguirci.
Foto di Gordon Johnson da Pixabay
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