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Libertà non significa arbitrarietà

Il viaggio dentro il diritto di espressione ha preso le mosse da una domanda: “La libertà è uno spazio libero?”

È tempo di una risposta.

La libertà è un luogo di rara bellezza in cui le generazioni postbelliche sono state invitate a vivere senza aver fatto granché – nulla, in realtà – per meritarlo. I nostri ascendenti l’hanno conquistato per noi e ce lo hanno lasciato in eredità. Si tratta di un bene che, se non coltivato e coltivato come si deve, muore perché non si autoalimenta: spetta a chi ne fruisce approntare una buona manutenzione secondo le regole che consentono la sopravvivenza di questo bene. Nel luogo della libertà nessuno di noi ha il diritto di porsi come una condizione meramente potestativa di sopravvivenza del luogo.

E c’è una ragione per questo: significherebbe aprire le porte all’arbitrio dei singoli e, in particolare, a quella forma di arbitrio svincolata da qualunque valutazione di opportunità, convenienza, coerenza del sistema. Sarebbe il regno della pirateria liberticida.

Rispetto e accoglienza della diversità di ciascuno: presupposti della libertà di tutti

Dunque, la libertà non è luogo libero se, con questo aggettivo, si intende dire “arbitrario”.

Lo è davvero se ognuno di noi, nella pratica quotidiana delle singole azioni, si fa guidare da due stelle polari: il rispetto e l’accoglienza della diversità.

Che sia cosa facile non sta scritto da alcuna parte, ma quando i nostri ascendenti ci hanno regalato la libertà perché ce la tramandassimo di generazione in generazione non ci hanno detto che sarebbe stato facile: è costata milioni di vite, come poteva essere facile?

Ma non è impossibile e, in un’epoca come quella attuale in cui si è perso l’orizzonte della salvaguardia dei nostri simili e la communis opinio tende ad appiattirsi sullo scarso valore da attribuire alla vita umana, è compito di alcuni approntare tutti i mezzi necessari per fare uscire interi pezzi della società dalla condizione di stabile precariato, di assuefazione al ribasso, di predestinazione alle mancanze.

Le fallacie logiche e i loro subdoli inganni

Senza i fondamentali, la guerra tra nuove povertà si scatena sul terreno del “più meritevole” sotto l’egida di chi sa lavorare di cesello sulle fallacie logiche le più aggressive delle quali sono, in ambito comunicativo, la straw men (ti attribuisco la paternità di una tesi falsa o assurda che so non esser mai stata sostenuta da te), l’ad hominem (anziché confutare i tuoi argomenti attacco e/o discredito te come persona), l’errore perduttivo (invece di soffermarsi a meditare sulle possibili cause di un fatto, un gruppo di persone offre una spiegazione approssimativa, non verificata, erronea che, in virtù di rimbalzi e condivisioni, diventa un enorme errore di un gran numero di persone. Questa fallacia è ancor più potente se, ad avallare la tesi approssimativa, concorrono anche individui autorevoli), l’halo effect (appunto l’attenzione su una tua caratteristica fisica, psicologica, intellettuale in modo che tu venga valutato da tutti in relazione a quella sola caratteristica).

Poi, è compito di chi fa della parola scritta la propria vita, orientare l’azione intellettuale verso la promozione del valore etico della scrittura – in particolare quella on line -, del recupero del confronto come paradigma per una dialettica di qualità sui contenuti, sui valori avendo di mira una comunicazione aperta, inclusiva, favorevole alla convivenza dei diversi punti di vista, paritetica.

Perché c’è posto per tutti.

Mettendo da parte le dissonanze cognitive, certo.

Foto di mohamed Hassan da Pixabay

 

 

 

 

 

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